
La dimora è legata al nobile intellettuale Giulio Antonio Averoldi (Brescia, 6 gennaio 1651 – 5 giugno 1717), le cui lettere rendono nota l’abitudine di soggiornarvi per la sola villeggiatura o la stagione del raccolto. In una lettera al Muratori, datata 26 luglio 1696, Averoldi spiegava le motivazioni che lo portavano a trascorrere il suo tempo nella magnifica residenza di campagna: «Scrivo dalla villa ove la stagione m’invita a godere il soave respiro de’ zefiri, ove il terreno mi alletta a non lasciare oziose le mani nella coltivazione degli agrumi e la cui stanza me la consiglia il godimento di quella libertà e divertimento quali dalle contrade urbane sono affatto esuli e raminghi».
La facciata semplice, di impianto seicentesco e priva di fronzoli, si sviluppa su due registri ed è animata solo nella parte centrale, dove si concentrano le aperture e dove il profilo si complica, assumendo l’elegante fattezza del frontone di tempio: una soluzione diffusa e che si ritrova in altri esempi del territorio, come Villa Pizzini già Lana a Corte Franca.
A fronte di una complessiva sobrietà decorativa degli esterni, il salone principale della villa presenta una notevole decorazione a fresco, eseguita con ogni probabilità nel 1656 per mano del pittore Ottavio Amigoni (1606-1661) su committenza di Giovan Battista Averoldi. I due principali riquadri rappresentano due episodi cruciali, scelti per esaltare le virtù morali della famiglia, della storia di Brescia, L’Assalto al castello e La dedizione dei nobili bresciani alla Repubblica di Venezia nel 1426; quest’ultimo, secondo la testimonianza di Giuseppe Averoldi, che nel 1836 avviò il restauro della villa, contenente l’autoritratto del pittore, riconoscibile nel soldato in piedi a destra, con elmo e lancia.
Particolarmente rilevante è l’elemento del giardino, a cui la villa sembra offrire uno sfondo di sapore teatrale, quasi una quinta architettonica per le sapienti geometrie che lo contraddistinguono: delimitato da alte siepi di carpino, il giardino della villa, “all’italiana”, è caratterizzato da una spina centrale, attorno a cui si dispone il verde, inquadrato a parterre il cui disegno è tracciato da sentieri di ghiaia. La spina centrale è impreziosita da fontane con ricchi giochi d’acqua, che conducono lo sguardo dall’architettura della villa sino al focus dell’esedra, arricchita da un motivo decorativo ad architetture classiche a trompe-l’oeil. Altre vedute prospettiche si aprono ai lati, inserite nelle siepi di carpino, mostrando altre vedute prospettiche, otto delle quali attribuibili al pittore e quadraturista Ludovico Inganni, nonno del più noto artista ottocentesco Angelo Inganni.
Con l’inizio del Novecento, si aprì per la villa una fase nuova, che la trasformò nel luogo oggi noto, residenza e luogo di lavoro del celebre compositore Camillo Togni (1922-1993). Il nuovo proprietario, Giulio Togni, industriale e proprietario di una fiorente industria siderurgica, ne ordinò il restauro e l’aggiornamento, avvalendosi dell’architetto bresciano Egidio Dabbeni (1873-1974), già collaboratore del Togni per altri progetti di stampo industriale: la dimora venne dotata anche di un nuovo giardino all’inglese, affidato a Pierre Andrè.

