Erbusco

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di Villa Lechi

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In perfetto dialogo con il centro abitato e anello di congiunzione con l’ameno paesaggio circostante, Palazzo Lechi, già Martinengo, a Erbusco, è uno dei massimi esempi di villa rinascimentale sul territorio bresciano. La sua straordinaria valenza scenografica e il suo dialogare con l’ameno paesaggio circostante, fa di questa dimora un modello, adottato nel tempo e reinterpretato da altre architetture signorili franciacortine.

La villa, dalla pianta a ferro di cavallo, segue i dettami della trattatistica architettonica rinascimentale ed è un perfetto esempio di unione dell’ambiente di rappresentanza, focus centrale dell’intero complesso, alle strutture delle barchesse, qui trasformate in altri ambienti d’uso ma differenziate dal corpo centrale da un diverso andamento dell’ordine superiore, senza loggiato ma chiuso da teoria di finestre. Come in Villa Barbaro a Maser, una delle più importanti e significative ville palladiane dell’entroterra veneto, l’architettura è esaltata da un giardino all’italiana, che un tempo si estendeva ben oltre la strada che oggi corre di fronte all’ingresso in bugnato, creando una visione prospettica che esaltava l’imponenza del palazzo.

L’ingresso è segnato da una monumentale architettura bugnata, di gusto manierista, con colonne incatenate sormontate da timpano dal profilo spezzato. Il bugnato, che caratterizza i pilastrini squadrati della cancellata, è ripreso nelle arcate inferiori del portico, che chiudono il cortile sui tre lati. Le scalinate di accesso ai piani superiori sono poste alle estremità del portico centrale.

Se il bugnato domina tutto il piano inferiore, conferendo alla villa un aspetto di massiccia solidità, la pietra bianca di Rezzato è utilizzata per la loggia superiore. Qui, una teoria di colonne doriche sostiene una trabeazione continua, con metope e triglifi, creando una bellissima loggia aperta al paesaggio circostante: elemento tipico della villa rinascimentale, la loggia aveva lo scopo di rendere ariosa la fronte altrimenti troppo severa del palazzo e illuminare gli ambienti interni di rappresentanza. Tale sapienza progettuale, unita alle accentuate eleganze formali e ad una profonda conoscenza dell’architettura classica, denuncia una stretta vicinanza ai progetti realizzati, in quello stesso periodo, da architetti di assoluto spicco come Scamozzi, Palladio e Sanmicheli ed è stata ricondotta ai continui contatti della famiglia committente con la nobiltà veneta e le frequenti permanenze a Venezia. Anche per queste ragioni, si è ipotizzata una committenza da parte di Cesare Martinengo tra 1580 e il 1590 e poi ultimato dal figlio Lelio, sino alla fine del primo ventennio del Seicento.